Era giusto che Mario Pedini raccogliesse in
un volume le sue esperienze africane. Giusto
perché egli ha visto l'Africa con l'attenzione
del politico'e con l'affetto dell'uomo giustamente
interessato ai problemi del Terzo
Mondo. L'Africa è per tutti un'esperienza affascinante,
un incontro continuo con situazioni
e personaggi che non possono non
lasciarti dentro «qualcosa». Non è l'Africa
dei «safari» che vede impegnati gruppi di turisti
frettolosi e travestiti da esploratori. Vorrei
anzi dire che non è più l'Africa da
guardare con la stupefazione delle memorie
di avventure di caccia e fragorose danze tribali.È invece un Paese che si dibatte fra
mille problemi, angosciato ancora da pericolosi rigurgiti di neo-colonialismo, ferito
da realtà che il mondo civile non può, né deve tollerare. Un'Africa che si fa strada
fra insidie che di continuo minacciano la sua stabilità. È una storia nuova, giovane.
Una storia che nella maggior parte dei casi ha soltanto dieci anni di vita, perché intorno
al 1960 si sono avute le prime dichiarazioni di indipendenza. Ma « indipendenza» per molti Paesi ha significato lotta, sacrifici, tirannie, perdite di migliaia di
vite umane.È un dovere conoscere questa nuova storia dell'Africa e ben vengano
quindi riflessioni, appunti, considerazioni come queste di Mario Pedini che nella sua
valigia di uomo politico ha saputo mettere, con le pillole anti-malaria, vaccini e vitamine,
quello che ogni viaggiatore che sbarca in Africa non dovrebbe dimenticare:
l'amore. Un po' d'amore per questo Paese e per il suo popolo.Pedini, svincolandosi
da facili entusiasmi consegna al pubblico un volume che non mancherà di appassionare
e di interessare chi all'Africa guarda nel quadro della nuova realtà del Terzo
Mondo. Gli incontri dell'Autore, a volte poetici, a volte drammatici, con il Continente
Nero sono pagine schiette di vita vissuta. Che egli sia sinceramente legato all'Africa
non ho alcun dubbio. In molte città, durante il mio lavoro giornalistico, il
nome di Pedini mi ha aiutato a superare certe diffidenze che gli africani giustamente
hanno verso la stampa europea. Spesso taluni personaggi della vita pubblica in Congo
o in Zambia, in Tanzania o in Cameroun mi ricordano « monsieur Pedinì » o « mister
Pedini » o più semplicemente « Buana Mario ». Buana in suaili significa signore.
Buana Pedini non è in queste pagine soltanto il Sottosegretario agli Affari Esteri;
egli scrive come un uomo che ha visto e vede nell'Africa un motivo dominante dell'equilibrio
mondiale, un motivo essenziale per il futuro della nostra stessa vecchia
Europa. « ... Un'azione intelligente e lungimirante dell'Occidente (dice l'Autore)
potrebbe tuttavia ristabilire un equilibrio, fermare le aggressioni, obbligarle a piegarsi
ad una coesistenza pacifica fra mondi diversi ».In certe pagine il suo elogio della libertà
e dell'uomo sono il giusto omaggio a coloro che per questa causa si sono immolati
e a quanti, in tanti Paesi, continuano a farlo, al di sopra delle questioni
politiche con la visione suprema della libertà come fattore inscindibile di dignità
umana.Vorrei ricordare, a questo proposito, un passo del leader congolese Patrice
Lumumba che lottò e morì per l'indipendenza del suo popolo. Nel suo testamento
politico - una lettera indirizzata alla sua compagna - dice: « ... Ai miei figli che lascio
e che forse non rivedrò mai più, voglio che venga detto che l'avvenire del Congo è
bello e che da loro attende, come da ogni altro congolese, il compimento della sacra
missione di ricostruire la nostra indipendenza e la nostra sovranità. Poiché senza dignità
non c'è libertà, senza giustizia non c'è dignità e senza indipendenza non ci
sono uomini liberi ». È un messaggio, questo, che mi f a sempre riflettere quando
incontro l'Africa e gli africani, quando penso a coloro che in Mozambico o in Angola
combattono e muoiono per conquistarsi l'indipendenza, il diritto cioè ad essere uomini
liberi. È una ri-flessione anche dell'Autore quando scrive: « ... Nei nuovi Paesi
africani la debolezza dell'Occidente nasce infatti, oltre che dalla sua equivoca posizione
politica, che appoggia e non appoggia la libertà africana, anche dal fatto che
esso non mette a disposizione mezzi e uomini sufficienti e non colloca la sua azione
in una mentalità nuova ».Mario Pedini - qui essenzialmente uomo politico - esamina
così nel suo Africa anno dieci i retroscena che hanno portato alle lotte di indipendenza
e i pericoli che oggi minacciano gli stati giovani. Interessante il suo « appunto» sulla presenza cinese che rischia di avere ripercussioni notevoli sull'equilibrio economico
e politico del Continente, sulla concorrenza fra Stati Uniti e Unione Sovietica.
C'è in queste pagine dedicate al problema politico l'esperienza di chi ha compiuto,
a nome dell'Italia, decine di missioni in un Continente dove noi siamo quell'Europa
ex colonialista che deve finalmente scegliere fra passato e futuro in un
dialogo franco se vogliamo che gli africani ci capiscano. Sono momenti delicati del
rapporto AfricaEuropa che non saranno superati sulla base di semplici « assistenze
tecniche ». Agli africani bisogna parlare un linguaggio chiaro: cosa chiediamo e cosa
offriamo. Cosa offriamo per garantire la loro indipendenza contro chiunque, di qualsivoglia
colore politico, si accinga a comprometterla, compromettendo al tempo stesso
la loro dignità di uomini liberi. Preoccupazione che nella Populorum Progressio
Paolo VI ha così espresso: « Se la crescita dello sviluppo richiede tecnici sempre più
numerosi, essa esige, a più forte ragione, uomini di pensiero capaci di riflessione profonda,
votati alla ricerca di un nuovo umanesimo, che permetta all'uomo moderno
di ritrovare se stesso, assumendo i valori superiori d'amore, amicizia, preghiera e di
contemplazione ».A questo esame di coscienza di uomo e di europeo Mario Pedini
non si è sottratto. D'altro canto l'Autore me lo consenta - così facendo egli è rimasto
fedele al ruolo svolto con fatica e rischi in tanti anni di Africa. Uno degli ultimi episodi
del quale è stato protagonista ha confermato infine che l'Africa sa ricambiare la
schiettezza con schiettezza. Erano i giorni drammatici del Biafra. Il mondo in ansia
per la sorte dei tecnici dell'ENI di Kwale 3. Incontrai l'Autore a Libreville, capitale
del Gabon. Ospite nel palazzo presidenziale di Albert Bongo passeggiai nel giardino
con il consigliere e amico Mancini. Poche ore dopo, nella notte, insieme entravano
in Biafra. Entrare significava rischiare molto e la posta era la vita degli operai dell'ENI.
Una « missione » che ha commosso il nostro Paese. Pedini tornò con la barba
incolta, stanco, turbato di ciò che aveva visto. Il giorno seguente i superstiti di Kwale
erano liberi, restituiti al Mondo ed alle loro famiglie. Ricordo che Pedini mi disse:« Non è merito mio... è merito della politica onesta che ancora facciamo nei confronti
dell'Africa. Qualche volta ne raccogliamo i frutti ».Politica onesta significa amore
per la libertà che l'Autore, passo passo, in questi dieci anni di vita africana mostra
di tenere presente in ogni momento quale legittima aspirazione di milioni di africani
alle cui spalle sta una storia di stenti, miserie e ingiustizie di cui tutti, per il passato
e alcuni per il presente, dobbiamo sentirci responsabili.
Emilio Fede
(Giornalista della RAI-TV)
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